Letto tutto d’un fiato, Cambiare l’acqua ai fiori è uno di quei romanzi da leggere (almeno) una volta nella vita, immancabile nella libreria di qualsiasi amante dei libri. Un mattoncino di poco meno di cinquecento pagine, ma carico di leggerezza, e capace di strapparci mille e una lacrime mentre ci ricorda che possiamo essere felici, anzi, ce lo dobbiamo, nonostante tutte le tragedie.

Cambiare l’acqua ai fiori è il secondo romanzo dell’autrice Valérie Perrin (1967), pubblicato nel 2018 in Francia, dove ha vinto numerosi premi, e nel 2019 in Italia, edito da edizioni e/o, vendendo più di 300 mila copie l’anno successivo: il libro più venduto di tutti. Nel 2021 la casa di produzione Palomar aveva annunciato che ne avrebbe tratto una serie.

La protagonista è Violette Toussaint (Ognissanti), guardiana di cimitero in una piccola cittadina della Borgogna, trascorre le sue giornate prendendosi cura dell’orto e delle tombe, in compagnia di becchini, impiegati e ospiti che si fermano nella sua casetta in occasione delle visite ai defunti. All’improvviso si presenta da lei un commissario di Marsiglia con una strana richiesta e un’informazione altrettanto inaspettata, che spingerà Violette a rivivere il suo doloroso passato, fino a scoprire la verità su un mistero ormai sepolto, per poi lasciarsi andare alla vita.


«Perché non si rifà una vita?»
«Perché una vita non si rifà. Provi a prendere un foglio di carta e strapparlo: per quanto rincolli ogni pezzo rimarranno sempre gli strappi, le pieghe e lo scotch.»
«È vero, ma una volta rincollato il foglio può continuare a scriverci sopra.»

È proprio grazie alla lettura e allo studio che Violette diventa una donna sempre più intelligente e alfabetizzata, in grado di descrivere impeccabilmente ciò che accade. Infatti la maggior parte della storia ci viene raccontata dalla protagonista in prima persona, con intervalli in cui prende la parola un narratore onnisciente per fornirci il punto di vista degli altri personaggi e darci informazioni che lei ancora non conosce, attraverso diari, vicende riferite da altri, flashback.

Così, attraverso i suoi ricordi ci spostiamo in diverse località della Francia, conoscendo personaggi caratterizzati in modo credibile e accurato: è quasi netta la separazione tra buoni e cattivi, ma in ognuno c’è un po’ dell’altro, senza contare che sembra incombere una sorta di provvidenza divina per regolare i conti. Per fortuna sono molte le figure salvifiche che vogliono aiutare Violette, la quale sta ingenuamente vivendo situazioni in cui l’omertà regna sovrana al fine di evitare discorsi scomodi, mantenendo quasi perenne l’atmosfera di suspence.

Nonostante tutto il dolore che ci troviamo davanti, non percepiamo mai la voce di Violette come vittimistica, anzi ci inteneriamo di fronte alla sua singolare e pacifica rassegnazione al lutto, e a tratti appare come una moderna self-made woman che trova le sue proprie soluzioni ad un vissuto travagliato. Inoltre, spesso assistiamo ad eventi comici che ci strappano un sorriso o una risata.

Siamo immersi costantemente in un realismo molto verosimile e contemporaneo, arricchito da descrizioni utili all’immaginazione che non appesantiscono per nulla il ritmo incalzante della narrazione, interrotta piacevolmente anche da dialoghi molto profondi e da insegnamenti quasi mistici. Si crea, dunque, una struttura alternata in maniera magistrale, che presenta svariati temi su cui riflettere.

«Quando un uomo va dalla sua amante deve sentirsi in vacanza, non a casa. […] Caro padre, la gente deve pur peccare, sennò il suo confessionale sarebbe vuoto. Il peccato è il vostro fondo di investimento, se la gente non avesse niente da rimproverarsi, non ci sarebbe più nessuno sulle panche della chiesa.»

Violette è un personaggio molto realistico proprio perché fatto di fragilità, di colpe, di segreti, di rinunce. Sono tante le volte in cui non si è presa le sue responsabilità, e forse è proprio questa la fonte della sua infelicità, considerando il fatto che starà meglio quando prenderà scelte e posizioni. Quando deciderà di spostarsi dalla sua immobilità. Ci viene riconfermato quanto la verità renda liberi.
È una donna che ha tanto da imparare e, mentre seguiamo la sua evoluzione umana, ci affezioniamo a lei e agli altri personaggi, tanto che vorremmo che il libro non finisse mai, perché quando giriamo l’ultima pagina ci sembra quasi di aver perso un amico.

«Ma io non sono idonea. […] Sono disadattata, spezzata. Con me non è possibile l’amore. Sono invivibile.»

Un pensiero su “Cambiare l’acqua ai fiori – Valérie Perrin (recensione)

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